mercoledì 8 settembre 2021

 La filosofia dello yoga e il Tattva Sandharba


Nello yoga le pratiche filosofiche che si trasmettevano per via orale sono state parzialmente trasmesse nei testi della tradizione chiamati Veda che contengono tutti gli argomenti dello scibile umano, dalla politica all'estetica. Alcuni studiosi hanno scritto anche dei commenti ai testi più importanti su richiesta della scuola di yoga o del proprio maestro. Il rapporto maestro discepolo è stato spesso criticato ma è sempre stato alla base della dottrina che prevede delle istruzioni impartite da un insegnante e uno studio individuale per assimilare quello che è stato appreso. La riflessione sul mondo si e sviluppata in tutte le civiltà con origini e interpretazioni comuni. 
L'educazione vedica era spirituale e si sviluppava nelle gurukula, piccole comunità dove maestri e discepoli vivevano assieme in un'ottica pedagogica basata sul dialogo, studio degli inni, spiegazioni metafisiche, meditazioni e penitenze. Numerose evidenze storiche, quali testimonianze dirette e indirette, fanno pensare a una trasmissione di questa conoscenza anche in Occidente.
Esiste un particolare rapporto tra le parti del corpo e l'universo, tra microcosmo e macrocosmo, e ogni organo si intona come una frequenza sonora su un determinato pianeta del sistema solare. Quando l'anima ascendendo devia si s corda di se stessa perdendo così la sua intonazione planetaria, e modifica l'ordine delle cose producendo un disordine o caos. I Veda sono testi sulla conoscenza suddivisi per argomenti e lunghi sedici volte l'Iliade e l'Odissea messi assieme. Tra i Veda è compreso anche il poema epico Mahabharata chiamato quinto Veda con al suo interno la Bhagavad gita. L'educazione vedica era brahminica e si poteva svolgere anche a casa dei maestri o nelle Accademie con esercizi psicofisici, canti e contemplazioni guidate. Si credeva che grazie al contatto con la vera natura dell'anima si potesse realizzare il vero Se come l'acqua si scioglie nel ghiaccio se esposto al sole ...
La conoscenza spirituale che in Grecia si chiamava sofia in India era chiamata vidya, e doveva essere trasmessa da maestro a discepolo in modo inalterato secondo una successione disciplica. L'obiettivo e quello di risvegliare la vera coscienza, la vera consapevolezza assopita o dormiente con diverse pratiche, fisiche, mentali, emozionali e spirituali. La coscienza è un sintomo della coscienza per lo yoga vaishnava, non un semplice prodotto della materia. Secondo questo principio noi siamo coscienza e siamo piccole parti di un tutto. 



Il primo trattato di Sri Jiva Gosvami (1513-1519) è un classico della filosofia orientale del medioevo. E' il primo di sei trattati che il filosofo scrisse più di quattrocento anni fa, e ha anche valore letterario essendo stato scritto in prosa in lingua sanscrita. Il Tattva Sandharba significa "trattato sulla verità assoluta" e si configura come una delle pietre miliari della filosofia dello yoga. I sei sandharba illustrano la filosofia della scuola Vaishnava nella linea della devozione pura, a partire dalle considerazioni epistemologiche sul come si può conoscere la realtà fino ad arrivare a conoscere la verità stessa. All'inizio dell'opera c'è una preghiera di buon auspicio che serve a diventare consapevoli del velo di illusione materiale che ci circonda e ci impedisce di esistere pienamente. Il velo di maya fu il fulcro della filosofia di A.Schopenhauer e nasconde il mondo reale, come se stessimo sognando.
Bisogna secondo lui strappare questo velo per conoscere il mondo e sconfiggere noia, dolore e ignoranza. Nel suo Il mondo come volontà e rappresentazione ci dice infatti che «il mondo è simile allo scintillio della luce solare sulla sabbia che il viaggiatore scambia da lontano per acqua, oppure a una corda buttata per terra che egli scambia per un serpente». Oggi il velo di maya ci fa pensare alla società formata da individui egoisti che lavorano per allontanarsi da loro stessi rincorrendo false ambizioni e miti sociali, pensiamo ad esempio alla caverna di Platone. Cercare di comprendere la realtà significa per esempio avere il coraggio di vedere le cose per quello che sono, senza ipocrisia, e accettarsi così come siamo senza maschere.
La filosofia indiana procede in maniera graduale indicando come ottenere il processo di realizzazione nella vita in modo da comprendere le cose veramente importanti. Nella fisica occidentale si impara a misurare gli oggetti e le forze fisiche tra gli oggetti, ma non si dice nulla sulla causa (tattva) di tali forze... secondo Sri Jiva Gosvami chi ignora tali cause rimane povero e non acquisisce strumenti utili a conoscere. Nell'ontologia indiana si trovano molti aspetti psicologici relativi alla modalità della ricerca delle fonti del ragionamento, il tutto si basa su tre elementi: il conoscitore, il conosciuto e il conoscente. Jiva Gosvami è da molti considerato come il più grande filosofo dell'India e compilò non meno di 400 mila versi. L'imperatore Akbar si recò da lui nel 1570 per avere un'udienza esclusiva e si commosse tanto nell'ascoltarlo che decise di patrocinare le sue opere come viene testimoniato dall'eminente storico F.S.Growser. Si può dunque affermare che la visita di Akbar ebbe un ruolo centrale nello sviluppo delle opere di Sri Jiva Gosvami. A Vrindavana costruì anche una grande biblioteca dove avrebbe collocato tutte le opere manoscritte della sua tradizione che vennero così preservate. 
Lo storico Sushil Kumar De annotò che «Jiva Gowami fu uno degli scrittori più prolifici, versatili e produttivi, ed è quindi difficile fornire un elenco preciso delle sue opere ... la maggior parte di queste opere, però sono commentari, riassunti o supplementi, che delucidano i dotti trattati dei suoi zii, i quali trovarono in lui un interprete assai competente ed erudito». Ne scrisse almeno una ventina, e la sua grammatica è particolarmente degna di menzione perché approfondisce la grammatica sanscrita in maniera esemplare. 

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